L’idioma gentile di Edmondo De Amicis nella didattica dell’italiano (1868-1940)1

Teaching Italian through Edmondo De Amicis’ Noble Idiom (1868-1940)

Michela DOTA

Università degli Studi di Milano, Italia

michela.dota[at]unimi.it

Impossibilia. Revista Internacional de Estudios Literarios. ISSN 2174-2464. No. 17 (mayo 2019). Páginas 84-112. Artículo recibido 28 julio 2018, aceptado 13 de marzo 2019, publicado 30 de mayo 2019

Resumen: Sulla scorta degli studi incentrati sull’educazione linguistica postunitaria, il contributo indaga la disseminazione e le destinazioni d’uso, pedagogiche e glottodidattiche, della prosa di Edmondo De Amicis all’interno della manualistica scolastica edita tra il 1868 e il 1940. Dalla compulsazione di grammatiche, manuali di scrittura, libri di lettura e antologie, si evince che la produzione deamicisiana integrata nel canone scolastico non si limita al notissimo Cuore, ma coinvolge diverse altre opere, i cui estratti sono piegati al raggiungimento di obiettivi eterogenei. Dalla rassegna emergerà come la dialettica tra didattica della norma linguistica e lingua d’autore, pur riconosciuto esemplare, non si è sempre giovata delle peculiarità idiolettali del testo letterario, arrivando in casi estremi a tradirne la facies, linguistica e narrativa, originale.

Palabras clave: Edmondo De Amicis, didattica dell’italiano, grammaticografia italiana, canone letterario, Ottocento

Abstract: On the basis of studies on Italian teaching after Italian Unification, this paper analyzes the dissemination of Edmondo De Amicis’ literary works in scholastic handbooks published between 1868 and 1940. This study aims also to focus on the pedagogical and linguistic finalities of these Deamicisian extracts. Grammars, writing handbooks, anthologies and reading books show that De Amicis’ Cuore is not his only literary work incorporated in the scholastic canon, which actually includes many other works, whose extracts are used for different purposes. Furthermore, this overview shows that the relationships between linguistic standard and author’s language, even though exemplary, have not always exploited the linguistic peculiarities of the literary text. In extreme cases, the original text is modified to adapt it to the new linguistic and pedagogical standard.

Keywords: Edmondo De Amicis, teaching Italian, Italian grammars, XIXth century, Italian literary canon

...

Introduzione e metodologia

L’uso a fini glottodidattici della lingua d’autore appartiene alla tradizione grammaticale italiana (Gensini, 2005: 7-9), ma per la storia dell’educazione linguistica l’epoca postunitaria è esemplare per almeno un caso di trattamento della lingua d’autore in contesto scolastico: l’uso glottodidattico de I promessi sposi di Alessandro Manzoni (Poggi Salani, 2013), il cui modello linguistico fu sostenuto dal Ministero dell’istruzione, nonché propagato dalla pubblicista scolastica. Sul confronto tra le edizioni Ventisettana e Quarantana del romanzo, infatti, furono impostate diverse grammatiche (Polimeni, 2011); altre esemplificarono le norme grammaticali selezionando campioni testuali dal romanzo (Morandi & Cappuccini, 1985). Le crestomazie per le scuole secondarie ne antologizzarono brani già dagli anni Settanta dell’Ottocento, e per le scuole elementari le idee manzoniane sulla lingua nazionale, e quindi il modello di italiano proposto ne I promessi sposi, percolarono nei libri di lettura di altri scrittori simpatizzanti del Milanese.

Se il caso di Manzoni è il più emblematico per le vette di legittimazione di cui ha goduto, non è però l’unico. Anche Edmondo De Amicis ha incontrato il favore del Ministero dell’istruzione: nel 1905, tramite regio decreto, è caldeggiata l’adozione scolastica del suo Idioma gentile (1906). Insieme a Cuore (1886, 1994), questa “grammatica” sui generis approda così nelle scuole elementari, mentre dalla prima opera letteraria dell’autore, La vita militare (1868), era stato ricavato da tempo un libro di lettura appositamente per le scuole reggimentali (Dota, 2017: 84-85); allo stesso modo le Pagine sparse (1874), costituite da bozzetti incentrati su questioni di attualità linguistica e grammaticale, conobbero un’edizione scolastica e per le famiglie. Non meno rilevante, in vista del radicamento della prosa deamicisiana, e insieme del sistema valoriale e linguistico da questa trasmesso nell’immaginario del tempo, l’indiscutibile successo di pubblico riscosso durante tutta la sua carriera letteraria e giornalistica, al punto che appare suggestiva l’ipotesi secondo cui lo standard letterario del XIX secolo sia improntato al modello deamicisiano invece che a quello manzoniano (Hall, 1982).

A fronte di questi punti di tangenza tra le due vicende, ci si chiede se, al pari del romanzo manzoniano, anche gli scritti deamicisiani, alcuni dei quali notoriamente investiti di una funzione pedagogica, siano stati esplicitamente rifunzionalizzati a scopo glottodidattico, ossia per insegnare a scrivere e a parlare in italiano per mezzo della loro lettura; e se ciò è accaduto, in quali termini e con quali conseguenze per il testo letterario.

Uno studio (Bachis, 2016) rileva che per tutto il primo dopo guerra De Amicis è il secondo autore, dopo Manzoni, cui le grammatiche attingevano più di frequente per elaborare gli esercizi e gli esempi; dal 1969 sino al 2016 si collocherebbe al sesto posto (mentre il primato di Manzoni non è scalfito), poiché risalgono o entrano nel canone autori pienamente novecenteschi. Va detto, però, che l’incidenza di queste spigolature è minima, poiché, stando al regesto, De Amicis compare in 8 grammatiche sulle 922 del corpus, soprattutto in quelle afferenti al periodo 1919-1969.

Tuttavia, per rispondere al nostro quesito, non è sufficiente consultare le grammatiche poiché, almeno fino al 1934, quando si prescrive esplicitamente un insegnamento linguistico deduttivo fondato sull’apprendimento delle regole grammaticali, l’insegnamento della lingua, almeno nell’ottica dei legislatori, doveva privilegiare un approccio pratico e induttivo, che ricavasse la norma dai brani contenuti nel libro di lettura e prima ancora, eventualmente, dai sillabari e dai loro compimenti. Le disposizioni ministeriali relative a questo punto e susseguitesi negli anni non sono sostanzialmente dissimili dall’indirizzo stabilito nel 1867:

L’insegnamento della grammatica che incomincia nella classe seconda, dev’essere condotto in modo possibilmente pratico. Perciò si dia la maggior parte delle lezioni agli esercizi; si espongano con semplicità solo le più fondamentali regole della grammatica, deducendole dai luoghi letti (Catarsi, 1990: 201).

I Programmi del 1905, poi, raccomanderanno per la quinta e sesta classe la “Dettatura di scelte prose e poesie di buoni autori moderni” (Catarsi, 1990: 264), favorendo l’accoglimento nel canone di autori quali De Amicis. Cionondimeno furono pubblicate anche grammatiche per le scuole elementari, per le classi a partire dalla terza, che supportassero l’insegnamento grammaticale pratico desunto dalle letture; ma, consultando gli elenchi stilati dalla commissione per i libri di testo (Barausse, 2008), se ne constata facilmente l’accessorietà. Viceversa, nelle scuole secondarie il libro di grammatica è indispensabile. Per la didattica della lingua rivestono tuttavia un ruolo altrettanto importante le antologie: dal secondo Ottocento la loro finalità primaria non è la didattica della storia letteraria attraverso la lettura di brani scelti, bensì l’insegnamento della lingua viva attraverso “esempi più specialmente imitabili oggi” (Puccianti, 1894: XVIII; Boni, 1891: VII-X; Polimeni, 2014: 62-65), integrati da una prospettiva diacronica soltanto nei licei (D’Ancona & Bacci, 1910: V-VIII).

L’orientamento manzoniano di autori come Boni e Puccianti agevola l’ingresso nel canone linguistico-letterario degli autori contemporanei, eventualità non scontata se si considera che mediamente le antologie selezionavano “gli esempi dagli scrittori classici, facendosi dal Boccaccio e, venendo giù giù, fino al Giordani, appena qualcuna osando di spingersi fino al Manzoni e a pochissimi della sua scuola”2 (Boni, 1891: VII; Martini, 1894: V-XVI).

A dispetto del favore per le idee manzoniane, l’obiettivo principale della scuola postunitaria resta insegnare a scrivere e comporre testi scritti (Papa, 2012); perciò ai fini della nostra indagine va da sé considerare i manuali di scrittura, improntati al principio di imitazione del testo d’autore.3 Restano invece esclusi i sillabari e i loro compimenti poiché le brevissime letture, pur presenti, sono confezionate ad hoc per trasmettere alla classe popolare i valori morali della classe dominante: ecco allora le favolette con monelli inevitabilmente puniti, e finanche passati a miglior vita, per aver disobbedito all’autorità genitoriale o scolastica, insieme alle rielaborazioni di racconti biblici, evangelici, oppure dedotti dalla storia greca o romana.4 Sulla scorta delle suddette considerazioni è stato perciò raccolto un corpus di testi scolastici comprensivo di grammatiche, manuali di scrittura, libri di lettura e antologie, edite dal 1868 al 1940.

L’estremo temporale inferiore coincide con l’anno di pubblicazione della prima opera di De Amicis. Abbiamo deciso di estendere il periodo di indagine sino al 1940 poiché è molto difficile datare precisamente quando declina un approccio didattico (e dunque i sussidi e i metodi che gli sono propri) e quando inizia ad affermarsi un approccio nuovo. Basti pensare che, a petto dell’esorbitante fermento editoriale postunitario, che sfornò circa 100 grammatiche per decennio, diversificate nei metodi, la grammatica più fortunata nell’intero Ottocento rimase le Regole ed osservazioni della lingua toscana (1745) di Salvatore Corticelli (Catricalà, 1995). Tuttavia nel periodo prescelto è incontestabile l’innestarsi nella scuola del paradigma idealista, circostanza storica che lascia presumere di poter rilevare qualche cambiamento nell’uso scolastico dei testi d’autore. Lo stesso Benedetto Croce contestò proprio a De Amicis le sue proposte sull’insegnamento linguistico, tra l’altro fondate sullo studio di certi modelli letterari ( Prada, 2012).

La dispersione della prosa deamicisiana nei testi scolastici

A fronte del vasto panorama editoriale di quegli anni, nella ricerca dei testi deamicisiani per le grammatiche, passo preliminare sarà discriminare quali siano i tipi metodologici inclini a ospitare inserti d’autore. Tra i diversi metodi in voga dal secondo Ottocento (Catricalà, 1995), per l’obiettivo cui punta l’indagine è necessario considerare soltanto le grammatiche tradizionali, ossia fondate sull’analisi delle forme usate dai buoni e approvati scrittori, sulla loro memorizzazione e infine emulazione, dalla quale sarebbe infine scaturito il possesso autonomo e creativo della lingua. Il comparto, pur vasto, della grammaticografia tradizionale andrà ristretto alle grammatiche che allargano il canone dei buoni scrittori imitabili ai loro contemporanei, analogamente alle antologie, ai libri di lettura e ai manuali di scrittura. Di seguito si offrono alcune tabelle che sintetizzano la dispersione della prosa deamicisiana ricavata dal computo delle sue occorrenze nelle diverse tipologie di testi scolastici nei vari decenni. Le x indicano la presenza di almeno un testo deamicisiano nel volume, mentre i trattini ne marcano l’assenza; più x sulla stessa riga segnalano la sopravvivenza di quel volume, ed eventualmente dei brani deamicisiani, in più decenni, grazie a ristampe o riedizioni.

Libri di lettura e

Antologie

1860-

1871-

1881-

1891-

1901-

1911-

1921-

1931-

1870

1880

1890

1900

1910

1920

1930

1940

Puccianti, 1871

x
x
x
x


Sacchi, 1878

x






Rigutini, 1880






Petrocchi, 1888


x





Carducci & Brilli, 1883






Torraca, 1886-87


Boni, 1891



x
x



Targioni Tozzetti, 1891


x
x
x
x
x

Martini, 1894



x
x
x


Barboni, 1895



x
x
x


Casini, 1899



x
x
x


Mantovani, 1908




x
x
x

Morandi, 1909



x
x
x
x

De Titta, 1909





D’Ancona & Bacci, 1910



x
x
x
x
Errera & Trento, 1911




x
x


Martini, 1912




x
x


Gustarelli, 1920





x


Ottolini & Silvani, 1925







Nicastro, 1931






x
x
Raniolo, 1936









Tabella 1. Presenza di brani deamicisiani in un campione di libri di lettura e di antologie dal 1860 al 1940



Grammatiche e

manuali di scrittura

1860-

1870

1871-

1880

1881-

1890

1891-

1900

1901-

1910

1911-

1920

1921-

1930

1931-

1940

Broglia, 1892





Iaconianni, 1892



x
x



Turchi & De Alberti, 1903



x
x



Ferrari, 1909




x
x


Fasolo, 1910




x



Giromini, 1927






x

Giuliano, 1931






x
x
Cristiani, 1934






x



Tabella 2. Presenza di brani deamicisiani in un campione di grammatiche e di manuali di scrittura dal 1860 al 1940

Salvo distorsioni imputabili alle contingenze della ricerca (reperibilità non sempre agevole dei testi scolastici, causa lo scarso interesse archivistico; diverso successo editoriale del singolo prodotto e quindi diversa possibilità di essere ristampato negli anni; esclusione involontaria di altri manuali significativi, che condurrebbero a una lettura diversa), i primi due decenni del Novecento sono i più propensi alla divulgazione della prosa deamicisiana nei testi scolastici. Per quanto concerne le opere nel dettaglio, la situazione è la seguente (la casella grigia indica che almeno un testo scolastico di quel decennio contiene uno stralcio di quella data opera):

Opera

1860-1870

1871- 1880

1881-

1890

1891-

1900

1901-

1910

1911- 1920

1921-1930

1931- 1940

Vita militare (1868, 1869, 1880)









Ricordi del 1870 e 1871 (1872)









Marocco (1873)









Spagna (1873)









Pagine sparse (1874)









Olanda (1874)









Ricordi di Londra (1874)









Costantinopoli (1877)









Il vino (1890)









Poesie (1880)









Ritratti letterari (1881)









Gli amici (1883)









Alle porte d’Italia (1884)









Cuore (1886)









Gli azzurri e i rossi (1897)









La carrozza di tutti (1899)









Sull’oceano (1889)









Il romanzo d’un maestro (1890)









Ai ragazzi. Discorsi (1895)









In America (1897)









Memorie (1900)









Ricordi di infanzia e di scuola (1901)









Capodanno (1902)









Nel regno del Cervino (1905)









    L’idioma gentile (1905)











Tabella 3. Presenza delle singole opere deamicisiane nel corpus di testi scolastici considerato

Dalla tabella si evince che non solo Cuore, prevedibilmente, ha un’ampia propagazione per tutti i decenni: spiccano anche La vita militare, Sull’oceano, Olanda e Spagna a pari merito. Questa generalizzazione è in parte confermata considerando le citazioni in assoluto, ossia quante volte ciascuna opera compare, con almeno un brano, nei testi considerati:

Opera

Testi che usano almeno un brano dell’opera

Cuore
10
La vita militare
9
Sull’oceano
5
Spagna
4
Olanda
4
Alle porte d’Italia
4
Poesie
4
Pagine sparse
4
Marocco
3
Costantinopoli
3
L’idioma gentile
3
Ricordi di Londra
2
Gli amici
2
Ai ragazzi. Discorsi
2
Capodanno
2
Ritratti letterari
1
Il romanzo d’un maestro
1
In America
1



Tabella 4. Ricorsività di ciascuna opera deamicisiana nel corpus di testi scolastici considerato

A fronte di questi risultati, ci si è chiesti quali funzioni abbiano i brani e le citazioni deamicisiane all’interno di questa pubblicistica e se esse e gli obiettivi glottodidattici cui sono asserviti mutano nel tempo. Inoltre, per le grammatiche è opportuno chiedersi se le citazioni d’autore siano coerenti con la grammatica esplicita, ossia con le definizioni e le prescrizioni della norma linguistica, oppure se siano in conflitto. In questa eventualità, si osserveranno le conseguenze e se le specificità della lingua autoriale sono salvaguardate.

Discussione dei risultati

Consideriamo in primo luogo le crestomazie. Quelle del tardo Ottocento, riedite o ristampate anche per i primi due decenni del Novecento, utilizzano brani deamicisiani poiché inverano l’ideale di prosa moderna emblematizzato da I promessi sposi e perseguito dai compilatori delle antologie, ossia di una prosa scritta in lingua viva, aderente al tosco-fiorentino dell’uso colto parlato. Infatti, nelle brevissime biografie d’autore spesso presenti, gli antologisti riconoscono alla prosa deamicisiana le stesse qualità della scrittura manzoniana de I promessi sposi, cioè naturalezza, proprietà, chiarezza e ordine (Mantovani, 1908: VI; D’Ancona & Bacci, 1910: 279-281; Puccianti, 1894: 398, n. 1; Martini, 1912: 622).5

In virtù dell’adesione al canone linguistico condiviso da antologisti e Ministero, il testo deamicisiano consente, come altri, di “ricavarne il più ricco patrimonio possibile d’idee chiare e precise, e di vocaboli e modi che le vestano convenientemente.” (Morandi, 1909: VI), da molti antologisti rilevati e commentati a piè pagina. Lessico, espressioni e strutture così focalizzate dovrebbero essere assimilate dagli apprendenti e risultare disponibili per le diverse occasioni comunicative. Di seguito trascriviamo una campionatura esemplificativa del tenore generale dei commenti: “aver sfoggiato: sarebbe contro la regola che non ammette di questi troncamenti davanti all’esse impura. Ma questa regola è (e sta bene che sia) tante volte violata nell’uso, che è ormai restata, si può dire, senza valore” (Boni, 1891: 6); “un colpo d’occhio: Questa frase, già tassata di francesismo, non solo è dell’uso vivo, ma esprime un concetto, che non ha equivalenza in nessuno dei modi che si vorrebbero, o si volevano sostituire” (Boni, 1891: 181); “bruciò la scuola: E si dice anche nello stesso senso bucò” (Puccianti, 1894: 398, n. 2); “non faccio una saetta: Modo toscanissimo per dire: non faccio assolutamente nulla; e qui: non lavorare a tavolino, non lavoro di cervello.” (Barboni, 1895: 355).

La prosa deamicisiana, inoltre, offre l’opportunità di focalizzare i sottocodici, anche settoriali, sviluppando nella scuola secondaria gli obiettivi già previsti per la scuola elementare (Catarsi, 1990): dei brani sono rilevati e commentati i tecnicismi delle lingue speciali (come quella navale presente in Sull’oceano) e la nomenclatura degli oggetti domestici e quotidiani, naturalmente fiorentina. La “potenza […] di fissare nella parola la multiforme varietà dei fenomeni esteriori contenuti nel dominio della descrizione” (Boni, 1891: 600-601) e la tendenza all’enumerazione e in parte al catalogo ( Prada, 2012: 207, n. 97; Dota, 2017: 217-224) rendono la prosa deamicisiana un input naturale, diremmo oggi, per l’acquisizione di questo materiale linguistico.

In sintesi, i brani deamicisiani sono selezionati poiché consentono di applicare le direttive ministeriali, sono esemplari del modello linguistico da perseguire e contengono locuzioni e in genere strutture linguistiche rilevanti per lo studente, che fruisce la prosa letteraria moderna per acquisire tessere di italiano corretto.6

Ne consegue che l’autore non è sempre valorizzato o additato a modello se esercita il “diritto della lingua” (De Amicis, 1906: XVII), ossia quando impiega una parola, una locuzione o una struttura non conforme all’uso tosco-fiorentino o ai principi manzoniani, o meglio all’interpretazione che ne danno gli antologisti. Diverse note, infatti, criticano le scelte autoriali, segnalando la variante presunta corretta: ad esempio, “sola come uno sparago: Spàrago è paròla antiquata. Òggi si dice Spàragio e al pl. Spàragi. Il mòdo poi: Sola come uno spàrago non è dell’uso, e non ci par molto giusto. È comune invece Lungo com’uno spàragio di pers. Lunga. È, pare uno spàragio” (Petrocchi, 1888: [5]); “insieme al sergente: Più corretto, insieme col sergente. Ma da un pezzo la forma insieme a si è cosifattamente radicata nell’uso, che la forma regolare è appena restata nella costante diligenza di pochi” (Boni, 1891: 46); “Io che son stato nel quadrato: Molto meglio: sono stato. Usasi, è vero, anche a Firenze, ma quel popolo là, che ha orecchio fino, raddolcisce pronunziando so’ stato. Scriverlo non lo scrive davvero” (Barbaro, 1895: 4); “un certo effetto: effetto, nel senso di impressione viva e durevole, è parola non approvata per buona” (Casini, 1899: 157).

A fronte di questo panorama, è curioso constatare che la maggior parte delle parole e delle espressioni segnalate sia dell’uso vivo parlato, per quanto informale, e insieme del coevo uso scritto giornalistico, per natura avanguardistico e aperto ai moduli dell’oralità e a voci esogene (Gatta, 2014): è il caso di effetto, nel significato di ‘impressione’, calco semantico dal francese (sub voce Fanfani & Arlia, 1877). Le alternative fornite dagli antologisti corrispondono alla variante standard dell’uso scritto, se presente; altrimenti testimoniano, come nel caso di effetto, che la forma non era ancora assurta allo standard. Dunque l’ideale linguistico degli antologisti, se da un lato abbraccia il principio manzoniano dello “scrivere come si parla”, dall’altro perpetua l’idea che il testo scritto debba preferibilmente attenersi alle forme garantite dalla tradizione.

La pratica “di rilevare i modi o impropri o sbiaditi, le affettazioni, le leziosaggini, […] e, per opposto, additare i modi più nitidi, più efficaci, più caldi” (Martini, 1912: VIII) bersaglia altri autori canonizzati, tra i quali Verga, insieme a Capuana tra i contemporanei più saccheggiati (De Blasi, 2018), in virtù della ricercata aderenza al parlato della sua prosa (Alfieri, 2017).

Se leggere gli scrittori contemporanei serve per imparare a redigere un testo secondo i principi menzionati, possiamo comprendere perché la poesia nelle crestomazie trovi in generale meno spazio. Luigi Morandi, cavaliere del manzonismo, adduce tra i motivi dell’esclusione dei poeti contemporanei che “la poesia, vivendo in un mondo che non è sempre il reale, evita spesso a bella posta le parole proprie” (Morandi, 1909: IX). In questa prospettiva la poesia deamicisiana appare più accettabile poiché, almeno nei componimenti prescelti (Il bersagliere, I bimbi, A mia madre, Grandinata, Il toscaneggiante, Invito alla villa) inquadra argomenti della storia recente o della quotidianità domestica, in forme consolidate (il sonetto), in cui gli stilemi della lirica tradizionale (nel caso de Il bersagliere, ad esempio, metonimie come piombo per proiettile, collocazioni aggettivali anteposte al nome come fiera voce, o la forma verbale scendea, con dileguo della labiodentale; Serianni, 2009) convivono con lessico, forme e locuzioni dell’oralità informale e espressiva (nello stesso componimento, il verbo pronominale averci7 in “ci ho una palla al fianco” o la voce connotata in intensità freddare ‘uccidere’), nonché con toscanismi del parlato domestico (le voci desinare e bimbi nel componimento omonimo).

Diverso il panorama delle antologie degli anni Venti e Trenta, in cui De Amicis in proporzione è sottorappresentato. Esse non commentano le scelte linguistiche, ma adducono osservazioni estetiche o spunti per encomiare il fascismo e rinforzarne l’impianto educativo. A titolo esemplificativo si riporta l’annotazione seguente, inserita nel brano Una sepoltura nell’Oceano, desunto da Sull’Oceano: “Il De Amicis scrisse quest’opera per scuotere gli italiani e presentare loro l’emigrazione nella sua precisa e cruda realtà; realtà che […] solo oggi è affrontata con miglior coscienza dei rimedi e dei mezzi occorrenti” (Nicastro, 1931: 535-536).

La medesima antologia, inoltre, nella sezione Pagine del cuore e dell’infanzia, che dal titolo preannuncerebbe la presenza del Cuore deamicisiano, non lo accoglie affatto. Le ragioni di questa esclusione possono dedursi da una circolare ministeriale che, sebbene posteriore, esplicita una valutazione dell’opera valida per l’intero periodo fascista (Scotto di Luzio, 2004):

Nel titolo stesso è adombrata la debolezza del libro, tanto che si è creduto di poter correggere, titolo e libro, con l’aggiunta della “mente”. Il Cuore è affidato a un sentimentalismo lacrimoso che compromette la fierezza di un’anima intesa al bene. […] Fa difetto, in tutta la vicenda scolastico-familiare, quella asciuttezza di volontà, quella risolutezza nell’operare che i nostri Balilla, pur nella profondità del sentire, devono raggiungere. […] In compenso, si potrà far notare agli alunni come il Cuore palpiti sinceramente per la Patria, l’esercito e il popolo. […] Oggi tali palpiti nell’espressione deamicisiana sembrano addirittura anacronistici. Anacronistica è infatti, oggi che l’unità d’Italia giunge alla concezione imperiale, la preoccupazione di fondere e accordare siciliani con piemontesi, calabresi con toscani, abruzzesi con veneti. […] Si riscatta per la generosità dei moti e la frequenza di battiti affettivi; suo naturale correttivo è la esaltazione della volontà come la intende e la insegna, a scopi sociali e imperiali, il Fascismo (Ascenzi & Sani, 2009: 249-250).

Per quanto concerne le grammatiche, si è detto che quelle manzoniane recuperano stralci del romanzo dai quali ricavano la regola o sui quali essa è esemplificata. Nel caso delle opere deamicisiane è stato possibile rintracciare due casi, singolari, che recuperano suoi scritti dai quali inferiscono la norma.

Nel primo caso non si tratta della norma grammaticale, bensì della norma didattica per l’apprendimento del lessico, raccomandata dalla grammatica sui generis di Iaconianni, così impostata dall’autore:

Scelgo un brano di un buon autore, lo fo leggere e rileggere agli alunni, fino a che son certo ch’essi ne abbiano pienamente capito il senso e quindi ordino che lo imparino a memoria. Rispetto al senso tengo alternativamente due maniere […] Ritorno sul brano studiato, scelgo le frasi più notevoli e, di queste, quelle che sono di facile significato, le fo scrivere senza aggiungere altro; quelle che hanno bisogno di essere dichiarate, le fo scrivere e fo aggiungere sotto ciascuna di esse la rispettiva spiegazione che ne dà il Vocabolario della Lingua Parlata di G. Rigutini e P. Fanfani; quelle frasi che lo richiedono si commentano facendo scrivere […] altre frasi simili o sinonime, ricavate dal detto Vocabolario o dal Dizionario dei Sinonimi del Tommaseo (Iaconianni, 1892: 3-4).

Il focus didattico è dunque ancora lessicale8 ed è proprio su questo aspetto che si innesta la prosa di riflessione metalinguistica di De Amicis: le sezioni intitolate Uso del Vocabolario sciorinano pillole per l’apprendimento lessicale, originariamente incluse nelle Pagine sparse, in particolare nel capitolo La lettura del vocabolario. Gli stralci corroborano l’impostazione del manuale che, benché edito nel 1892, offre –quale massima espressione di modernità– campioni testuali del primo Ottocento; quindi gli inserti deamicisiani rappresentano l’unica esperienza di una prosa latamente coeva.

Il secondo caso, invece, è un testo per la dettatura nelle scuole elementari: l’autore, nella sezione della Dettatura ideologica – Sentimenti d’affetto e di gratitudine, (a riprova dell’uso pedagogico dei testi deamicisiani), trascrive un brano epistolare definito “Imitazione libera dal De Amicis”. In effetti l’emulazione è evidente e attuata su più livelli linguistico-testuali, oltre che contenutistici, sul capitolo Mio padre di Cuore; la fonte non è dichiarata, ma come si vede è piuttosto scoperta:

Testo originale (Mio padre, da Cuore)

Imitazione libera del De Amicis

Non certo il tuo compagno Coretti, né Garrone, risponderebbero mai al loro padre come tu hai risposto al tuo questa sera. Enrico! Come è possibile? Tu mi devi giurare che questo non accadrà mai più, fin ch’io viva. Ogni volta che a un rimprovero di tuo padre ti correrà una cattiva risposta alle labbra, pensa a quel giorno, che verrà immancabilmente, quando egli ti chiamerà al suo letto per dirti: – Enrico, io ti lascio. – […] Allora capirai che egli è sempre stato il tuo migliore amico, che quando era costretto a punirti, ne soffriva più di te, e che non t’ha mai fatto piangere che per farti del bene; e allora ti pentirai, e bacierai piangendo quel tavolino su cui ha tanto lavorato, su cui s’è logorata la vita per i suoi figliuoli. […] Pensa dunque che dolore dev’esser per lui quando invece di trovar affetto in te, trova freddezza e irriverenza! Non macchiarti mai più di questa orribile ingratitudine! […] Va’, figliuolo; va’ da tuo padre: egli è nella sua stanza che lavora: va’ in punta di piedi che non ti senta entrare, va’ a metter la fronte sulle sue ginocchia e a dirgli che ti perdoni e ti benedica.

Tua madre (De Amicis, 1994: 289).

1. Doveri verso i genitori

a) Riconoscimento dei proprii falli

Mio caro Arturo,

Arturo, ieri hai risposto malamente a nostra madre. Tu non immagini che dolore ella ha provato in quel momento! Gli occhi le si sono gonfiati di lagrime, e non ha avuto nemmeno la forza di rivolgerti una parola di rimprovero. Ma tu, nella tua spensieratezza, non hai visto con quale espressione di dolore ti ha guardato, tu non hai visto quelle lagrime; e sei corso a giuocare.

Pensa ora, Arturo, alla bruttissima azione che hai commessa. Un giorno non l’avremo più la nostra mamma; ed allora come ti rincrescerà d’averla offesa!

Va’, corri a chiederle perdono. Ella non aspetta che il tuo pentimento per ridarti intero il suo amore.

Tua sorella (Fasolo, 1910: 65).



A dispetto della distanza temporale che separa l’imitazione dall’originale e dalle consuetudini linguistiche del suo tempo, dell’idioletto deamicisiano (Dota, 2017; Grassano, 2018) sono riprodotti alcuni tratti fonetici (il mantenimento del dittongo velare dopo palatale in giuocare, in via di dismissione dopo la riforma manzoniana: Serianni, 1986), tratti morfosintattici (la concordanza del participio passato col soggetto, in “la bruttissima azione che hai commessa”), tratti sintattici, come la dislocazione a destra mimetica del parlato in “un giorno non l’avremo più la nostra mamma” o la scelta di pronominalizzare insistentemente, come nel modello, i soggetti tu ed egli, insieme agli stilemi interpuntivi (“ed allora”) e alla chiusa.

Si direbbe un falso d’autore, se non fosse che l’epigono è più deamicisiano dell’originale, non tanto per la centralità conferita alla madre, e non più al padre, ma nel senso che la conservatività linguistica, in parte innegabile in De Amicis, è estesa a un tratto, ella soggetto con referente umano, che De Amicis in Cuore impiega soltanto una volta e con riferimento a patria, dunque un referente non umano;9 l’uso presente nell’imitazione, però, è ancora prescritto dalla norma grammaticografica del tempo (Demartini, 2014).

Lo stile dell’autore, cioè il suo configurarsi come aggregato particolare di varianti tra quelle possibili offerte da un sistema linguistico nel suo complesso, anche in diacronia, può essere travisato e piegato all’idea di lingua d’autore introiettato dal compilatore, sicuramente interferita dalla norma grammaticografica del tempo. Nella scrittura di De Amicis, per i soggetti femminili con referente umano è preferito il pronome, comunque dell’uso scritto formale, essa (Dota, 2017: 154).

In generale, nella maggior parte dei casi abbiamo riscontrato che i testi considerano i brani d’autore come serbatoio per gli esercizi, dunque non per ricavarne la regola, formulata tramite definizioni autonome. Gli scampoli autoriali procurano al contempo nozioni morali o disciplinari. Ad esempio, nelle grammatiche per le scuole elementari di Chierici e di Turchi e De Alberti, i testi di De Amicis sono impiegati per esercitare la punteggiatura, come nel caso dell’incipit del bozzetto La sentinella della Vita militare:

Era una delle ultime notti di gennaio nevicava le vie della città le piazze i davanzali e i terrazzini delle case gli alberi dei giardini tutto era bianco sepolto sopraccarico di neve i fiocchi venivan giù lenti grossi e fìtti e sullo strato nevoso lungo i muri non appena s’imprimeva un’orma, che ne spariva ogni traccia. I lampioni agli angoli delle strade mandavano intorno un chiarore velato e triste sui crocicchi per quanto si guardasse avanti e indietro a destra e a sinistra non si vedeva nessuno in ogni parte un silenzio cupo si sarebbe sentito per modo di dire cader la neve (Turchi & Alberti, 1903: 11).

La prosa descrittiva e enumerativa di questo e di altri passi della Vita militare, insieme alla presenza di periodi costruiti per coordinate o cumuli di subordinate di primo grado, ben si presta a esercitare, in particolare, virgole e punti e virgola (aspetti interpuntivi sui quali lo stesso De Amicis si era soffermato correggendo l’opera nelle tre edizioni), nonché ad assicurare qualche insegnamento morale: ne è un esempio lo stralcio L’ospitalità generosa tratto dal bozzetto Partenza e ritorno. Altrove un frammento estrapolato da Cuore, ricco di parole tronche, serve a esercitare gli accenti (Cristiani, 1934: 16).

In gran parte dei testi pienamente novecenteschi, invece, l’estratto, spesso da Cuore, è sottoposto all’analisi del periodo (Giuliano, 1932: 8) e soprattutto all’analisi grammaticale (Chierici, 1909: 25; Giuliano, 1932: 12-13), oppure all’individuazione e alla trasformazione di singole parti del discorso, perlopiù nomi (Giuliano, 1932: 8; Cristiani, 1934: 50) e verbi (Chierici, 1909: 62). Ne consegue che le potenzialità di insegnamento insite nella lingua d’autore sono sprecate, poiché l’analisi è orientata all’astrazione e alla classificazione delle parti del discorso; il limite di questo approccio conosce la sua apoteosi quando lo studente, per rispettare la consegna, è indotto a produrre forme possibili per il sistema morfologico, ma molto marcate. È il caso di vecchiaie,10 esito di un esercizio di trasformazione che chiede di volgere al plurale tutti i nomi singolari individuati nel passo (La strada in Cuore), tra cui appunto vecchiaia (Giuliano, 1932: 8).

La scarto tra impianto teorico delle grammatiche e i testi d’autore che vi compaiono non si manifesta solo nella mancata vera funzionalizzazione del brano letterario ai fini della didattica della lingua, bensì anche nelle possibili contraddizioni in cui la grammatica può incorrere ospitando un testo che non sposa completamente le prescrizioni teoriche. Se ne trova un esempio nella grammatica elementare di Chierici, che recupera uno dei pochi punti di Cuore in cui figura il pronome lui soggetto (“E lui non può patir nessuno”). Nella prosa deamicisiana, e di Cuore nello specifico (Grassano, 2018: 85), il pronome lui in funzione di soggetto non è affatto frequente come si potrebbe pensare, dato che De Amicis abbraccia sì i principi della scrittura manzoniana e le sue teorie linguistiche, ma nella prassi scrittoria in parte se ne discosta consapevolmente, tanto da autodefinirsi un manzoniano annacquato (Dota, 2017; Grassano, 2018). D’altra parte, nella sezione teorica la grammatica prescrive in funzione di soggetto soltanto i tipi egli, ei, e’, attestandosi perciò sul fronte tradizionale, mentre il pronome lui è indicato per la sola funzione di complemento (Chierici, 1909: 38).

Dunque “l’eresia linguistica” presente nel testo d’autore è il più delle volte taciuta, sebbene confligga col modello codificato dalla grammatica ospite. Un caso ulteriore si riscontra in un libro di lettura del 1908: nell’estratto da Olanda compare tra l’altro sur (Dusso, 1908: 57), variante di su ritenuta arcaica e poetica già nel secondo Ottocento (sub voce Tommaseo & Bellini, 1865-1879)11 e in via di dismissione nella narrativa dei primi vent’anni del Novecento.12 Il compilatore non commenta la forma, che è rinvigorita, come altre, grazie a questi inserti autoriali, che ne prolungano la sopravvivenza nel sistema linguistico oltre la morte sancita dall’uso vivo.

Nei casi più eclatanti, infine, può capitare che il grammaticografo risolva in modo drastico le inevitabili incongruenze tra lo standard del suo tempo e la lingua d’autore, cioè normalizzando, o meglio riadattando alle norme prescritte nella grammatica, i fenomeni aberranti nel testo letterario. Succede nella grammatica di Renzo Cristiani, che riporta due stralci da Cuore e uno dalla Vita militare, modificandoli come segue:



Originale in De Amicis, 1886: 289
Brano in Cristiani, 1934: 50
Enrico, io ti lascio – O figliuol mio, quando sentirai
Figlio mio, io ti lascio! Quando sentirai
non t’ha mai fatto
non ti ha mai fatto
su cui s’è logorata la vita
su cui si è logorato la vita



Originale in De Amicis, 1880: 215
Brano in Cristiani, 1934: 232
colla tesa
con la tesa
colle molle
con le molle
coll’immagine
con l’immagine
il romanzo
il libro
scorse due o tre pagine
scorse alcune pagine
non hanno letto né casa
non hanno né tetto [sic] né casa13
e se lo cova, se lo stuzzica, se lo gode
se lo cova, se lo stuzzica, se lo gode



A che cosa possono imputarsi queste modifiche? L’omissione delle elisioni pronominali e il mutamento della locuzione “due o tre” con il più neutro “alcune” argina senz’altro l’approssimazione della prosa al parlato,14 sebbene i due fenomeni occorrano in un contesto diafasicamente e diamesicamente congruo (una lettera familiare); l’accordo del participio passato col soggetto posticipato, ritoccato anche in testi di altri autori inseriti nella grammatica, non è menzionato nella grammatica esplicita (Cristiani, 1934: 182); ancora più chiaramente le preposizioni articolate sintetiche in luogo delle analitiche, tradizionali in letteratura e, benché rifiutate nella Quarantana de I promessi sposi (Vitale, 1986; Serianni, 1986), ancora resistenti per tutto il secondo Ottocento (Serianni, 1990), nella parte teorica sono esplicitamente censurate, poiché non apparterrebbero al buon uso toscano: “Scrivere collo per con lo, colli per con gli e, tanto peggio, pello anziché per lo, e pelli e pelle anziché per gli e per le, non è affatto del buon uso toscano” (Cristiani, 1934: 72).

La pressione di una nuova norma grammaticale può prevaricare la specificità della lingua dell’autore e della sua epoca, anche con giudizi fallaci, intervenendo liberamente sul testo in modo che questo non contraddica l’impianto grammaticale e la nuova norma. L’osservazione è valida altresì per il portato morale, valoriale e di costume insito nei passi prescelti. Tra le modifiche attuate spicca l’asportazione di uno stralcio ironico e velatamente sensuale (in corsivo nel testo), troppo ardito per gli studenti delle scuole medie inferiori fasciste: “Una di quelle notti in cui anche il marito disamorato e tediato avvicina un po’ più del solito la seggiola a quella di sua moglie; e lo scapolo fantastica le gioie intime e tranquille di una famigliola, e, rinunciando baraonde consuete, si ficca per tempo sotto le coltri” (De Amicis, 1880: 215). Alla stessa vena censoria pudica possiamo ascrivere la sostituzione di romanzo, macchiato alla nascita dalle accuse di frivolezza e di amoralità (intollerabili nel progetto educativo fascista), rispetto al più neutro libro.

Infine, alla necessità di attenersi alle prescrizioni della norma si può forse ricondurre l’integrazione del primo nell’originale asimmetrico “non hanno letto né casa”; la correzione irrigidisce la natura tendenzialmente geometrica della sintassi deamicisiana della Vita militare, comunque mai sistematica (Dota, 2017: 198-228).

Conclusione

La prosa letteraria deamicisiana, al pari di quella manzoniana, entra precocemente nel canone scolastico e il suo impiego nella manualistica è sostanzialmente ininterrotto nel periodo considerato, benché sia in flessione a partire dagli anni Trenta. L’apice della fortuna scolastica, anche a fini glottodidattici, può essere collocato nei primi due decenni del Novecento.

La canonizzazione scolastica ha investito, oltre a Cuore, altre opere, in primis La vita militare, Sull’Oceano e parte della letteratura odeporica. Tuttavia, pur nella sua esemplarità, anche linguistica, la singolarità eccellente del testo deamicisiano pone non poche difficoltà al libro di scuola che vi ricorre: essa appare irriducibile e non del tutto conciliabile alle esigenze di trasmissione di una norma linguistica e pedagogica stabile e sicura, perciò monolitica, che in casi estremi non ha esitato a sopraffare il testo autoriale e la verità filologica.

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1Il presente contributo afferisce al progetto di ricerca Modelli, testi e documenti per la storia dell'educazione linguistica e della didattica dell’italiano L1 tra Ottocento e Novecento, rifinanziato dall’Università degli Studi di Milano per il bienio 2018-2020.

2Sul canone letterario della scuola italiana ottocentesca (Cremante & Santucci, 2008). Da questo studio, tra l’altro, si ricava che i manuali di Carducci e Brilli e di Torraca non antologizzano nessun brano deamicisiano.

3La lingua dei letterati ha inciso senz’altro sulla formazione del cosiddetto “italiano scolastico”, come dimostra Luisa Revelli (Revelli, 2013: 132-134), illustrando proprio la replica degli stilemi di Cuore in alcuni scritti scolastici. Rinviamo al suo volume per le considerazioni sullo statuto e sul canone dell’italiano scolastico nel contesto sociolinguistico dell’Italia del tempo.

4Ricavo questa generalizzazione dalla compulsazione dei sillabari raccolti nell’archivio di Historied.net (http://www.historied.net/portal/index.php?option=comcontent&view=article&id=7&Itemid=11), cui si aggiungono altri sillabari rintracciati personalmente, cronologicamente distribuiti dal 1861 sino ai primi decenni del Novecento, quando vanno progressivamente esaurendosi come sussidi didattici.

5Sull’ideale del parlato perseguito da De Amicis (Grassano, 2018).

6Tra le antologie rintracciate, quella di Boni accorda a De Amicis il maggior numero di spigolature (22; Manzoni, a pari merito con Duprè, conta 18 brani); segue Leopoldo Barboni (13), che apre l’antologia con un passo di Cuore. Petrocchi, invece, antologizza in seconda posizione La mia padrona di casa, bozzetto incentrato sull’acquisizione deamicisiana del fiorentino, a confermare la prospettiva anche metalinguistica della sua raccolta. Nella sua grammatica, tuttavia, De Amicis risulta assente, così come nelle grammatiche di altri studiosi illustri (Morandi e Cappuccini, Fornaciari e più tardi Panzini). Motivi di spazio non consentono di raffrontare i dati relativi a De Amicis con le campionature di altri autori; rinviamo perciò ad altra sede queste considerazioni.

7La forma è abituale anche nei romanzi di Manzoni e Verga (Bruni, 2002: 164), nonché documentata in tutte le epoche nei testi prossimi al parlato (D’Achille, 1990: 262, 274).

8Un approccio simile si ritrova nella grammatica per le medie inferiori di Cristiani (1934): alcuni passi deamicisiani, e di altri autori, sono seguiti da un Esercizio sul vocabolario, che allena la competenza lessicale per i poli del continuum diafasico: i lessemi da ricercare sono di registro formale (ad esempio abnegazione, rettitudine) o afferiscono a sottocodici (pianeta) o sono voci e locuzioni colloquiali (baraonda, mala ventura).


9“Tu comprenderai allora l’amor di patria, sentirai la patria allora, Enrico. Ella è una così grande e sacra cosa” (De Amicis, 1994: 105). Sull’uso dei pronomi soggetto in Cuore (Demuru & Gigliotti, 2012: 135).

10La marcatezza di vecchiaie risiederebbe nella sua (teorica) non numerabilità. Il corpus DiaCoris (corpora.dslo.unibo.it/DiaCORIS/) riporta solo due occorrenze coeve (di De Amicis e di Fogazzaro) e tre secondo novecentesche. Nessuna occorrenza, invece, nell’intero corpus letterario della Biblioteca italiana (http://www.bibliotecaitaliana.it/). Anche nell’uso giornalistico del secondo Ottocento le occorrenze sembrano esigue; il corpus in rete del quotidiano La stampa (http://archivio.lastampa.it/), tra il 1867 e il 1901, permette di rilevare solo tre occorrenze, mentre per l’intervallo 1901-1922 vecchiaie occorre sette volte. Molto più cospicue le occorrenze del singolare, anche per l’arco temporale successivo e fino al 1940, che invece fa registrare sei occorrenze del plurale. Queste aumentano approssimandoci alla contemporaneità: nel corpus dell’archivio storico de la Repubblica (https://ricerca.repubblica.it/), dal 1984 a oggi, la voce occorre trentasei volte.

11In proposito, è meno categorico Petrocchi che alla voce su annota: “a volte davanti a Un e Una anche sur” (Petrocchi, 1887-1991). Rigutini & Fanfani (1875-1876) non lemmatizza la forma, né la riporta nella definizione dell’allomorfo.

12Consultando il corpus DiaCoris, la narrativa del periodo 1901-1922 fa registrare meno della metà delle occorrenze presenti nella narrativa del periodo antecedente (1861-1900).

13L’alterazione dell’originale letto in tetto è presumibilmente un errore tipografico.

14Sebbene l’elisione sia consueta nella tradizione letteraria italiana, Manzoni la introdusse nella Quarantana per meglio mimare il parlato fiorentino (Vitale, 1986). Sulle locuzioni simili a “due o tre”: Bazzanella, 2011.

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